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21 ottobre 2018

La Diga del Vajont: un inno alla vita

21 ottobre 2018
Andrea Maroè

La Diga del Vajont: un inno alla vita

Più volte Claudio mi aveva chiesto di andare con lui per vedere un albero a suo dire spettacolare. Claudio è una bravissima guida naturalistica, un appassionato di alberi e un gran viaggiatore. Finalmente son riuscito, con altri due miei amici ad unirmi ad una visita guidata di tre ore alla diga del Vajont, presso Erto e Casso.


Claudio ha accompagnato la comitiva a visitare i luoghi di quell'immane dolore, raccontandoci la storia della costruzione di un manufatto incredibile per quei tempi, ma anche l'avidità di pochi uomini, che a disprezzo della vita di molti, han continuato il loro progetto, nonostante la Natura, travestita da grande montagna, li avvisasse dell'incombente pericolo. Quasi un paradigma di quello che ora sta avvenendo a livello mondiale e che non vogliamo capire. Due milioni di tonnellate di roccia, scesi alla velocità di 100 km all'ora in un bacino voluto con pervicacia dalla enorme stupidità e avidità umana, hanno spazzato in un battibaleno 2000 vite. L'enorme diga è invece rimasta lì a ricordarci i nostri errori, come anche l'impressionante cumulo di detriti scaraventato in pochi secondi quella notte del 9 ottobre di oltre 50 anni fa in un lago artificiale.
 
Claudio racconta della chiesetta col tetto che riprende le direttrici della spaventosa onda, ci mostra l'incredibile pancia della grande diga, i pochi avanzi di quella strada che saliva da Longarone. Poi ci accompagna nel bosco cresciuto in cinquant'anni sull'enorme frana. Davanti a un albero inclinato si ferma e racconta "Per anni ho accompagnato persone a visitare questo bosco spiegando che tutti gli alberi che si potevano vedere erano cresciuti dopo quella terribile notte, e che quindi non avevano più di 50 anni. Ma poi pian piano mi sono accorto che alcuni alberi avevano lottato, fino allo stremo per sopravvivere alla catastrofe che aveva inevitabilmente colpito anche loro.


Moltissimi alberi del bosco del Monte Toc erano stati completamente distrutti dalla frana, buona parte sotterrati, divelti e squartati. Ma alcuni, i più fortunati, erano riusciti a "viaggiare" sopra la frana e si erano ritrovati distesi o completamente inclinati sulla sua superficie, una volta che tutto il dramma era terminato. Questi pochi avevano cercato di contrastare la malasorte che li aveva colpiti, avevano provato a ricostruire radici, a riemettere nuovo fogliame. Moltissimi non ce l'avevano fatta. Ma alcuni...  Alcuni, come l'albero storto davanti a noi, sono riusciti a sopravvivere. Pur portando nei loro fusti inclinati la storia di quella spaventosa notte. Questo che vedete era molto probabilmente molto giovane, 55 anni fa, ed era cresciuto quasi 400 metri più in alto. Ma troveremo più avanti altri esemplari, uno in particolare, che ricordano quel dramma".


 Riprende a camminare. Tutti lo seguiamo in silenzio. Guardo il bosco, ricresciuto sopra la frana, molti son giovani, ma alcuni sono alberi storti, che nel tempo han raddrizzato la punta. Sono soprattutto abeti rossi e larici  le specie che son sopravvissute. E sono forse quelle che pian piano, assieme ad altre specie pioniere (pini neri, pini silvestri, pini mughi, salici, pioppi, betulle e qualche raro faggio) hanno creato il nuovo bosco, esempio di colonizzazione naturale di un ambiente completamente alterato da un evento catastrofico. Poco più avanti Claudio si ferma ed esclama "Eccolo l'inno alla vita, il monumento vivo che ha sconfitto la tragedia". Davanti a noi giace un grosso abete rosso completamente orizzontale con alcune vecchie radici completamente scoperte. Dal suo vecchio fusto orizzontale, tra vecchi rami morti e coperti di muschio si dipartono sette nuovi grossi fusti. Perfettamente verticali. Alti oltre venti metri. "L'albero sradicato quella notte dal suo primo punto di ancoraggio si è ritrovato abbattuto, il suo apparato radicale parzialmente all'aria, ma una parte ancora vitale sepolta nella terra della frana. Ha lottato per non morire, ha riemesso nuovi fusti dal vecchio tronco, ha seccato le parti inutili e si è rialzato orgoglioso sopra tutta la foresta. È un vero monumento alla vita!".

Mentre ascolto Claudio misuro la circonferenza della pianta. Sono 2,70 metri di instancabile lotta contro il destino. Vitale monumento a ricordo di quella drammatica sera. Muto testimone di quella tragedia, che ha sconvolto anche la sua vita e il suo naturale portamento. Il fusto diritto più grande misura 1,20 cm. "Quanti anni avrà avuto al tempo del Vajont?" mi chiede uno del gruppo. Conto i palchi dei rami che ogni anno l'albero crea durante il suo accrescimento longitudinale ancora ben visibili sul vecchio fusto. "Penso oltre una trentina". Un bambino, penso quando ci allontaniamo, come gli oltre 400 bambini portati via dalle acque quella notte. Continuiamo a percorrere il bosco fino ad uscire quasi sul punto più alto della frana. Davanti a noi il paesino di Casso, con la sua vecchia scuola divorata dalle acque ci guarda appoggiato sulle pendici del monte Salta. Alcuni freeclimbers si arrampicano alla base delle sue famose pareti di roccia, dove anche Mauro Corona si allenava.  Li guardo mentre sereni si muovono sulla roccia a strapiombo. È una bella giornata di sole.
 
 

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Andrea Maroè

Cerco, arrampico, misuro e difendo gli alberi più vecchi, grandi, maestosi e misteriosi del nostro pianeta, ma amo vivere i nostri boschi e la nostra splendida natura.

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